Acque, fiumi e progetti utopici nel paesaggio veneto
Waters, rivers and utopian projects in the Venetian landscape
Case study of the Padova-Venice water pathRésumé
L'utopie concernant la construction des voies d'eau dans le Nord de l'Italie débute au XIXe siècle. La relance de la navigation intérieure visait à réaliser des projets de transformation du Po - et des fleuves et des canaux qui lui étaient reliés - en une grande voie d'eau en état de connecter les villes principales de la plaine padane. Cet article est focalisé sur une oeuvre inaboutie qui représente, encore aujourd'hui, un sujet de discussion : la voie d'eau Padoue-Venise. Le projet d'aménagement de l'ancienne liaison fluviale entre les deux villes a subi une mutation radicale à la fin des années 1950, quand la voie d'eau a été repensée comme la première partie d'un canal entre Venise et Milan. Le projet s'est développé pendant deux décennies au milieu des difficultés bureaucratiques et techniques ; entre autres, la progressive marginalisation de la classe politique de la Démocratie chrétienne, principale partisane de cette entreprise. La faillite de l'initiative pose aujourd'hui le problème de la réutilisation des aires expropriées dans le contexte plus ample des enjeux environnementaux et infrastructurels dont la Vénétie souffre aujourd'hui. L'utopia intorno alla costruzione di un sistema di vie navigabili nell'Alta Italia ha inizio nel XIX secolo. Il rilancio della navigazione interna mirava a realizzare una serie di progetti che trasformassero il Po ed i fiumi e canali ad esso collegati, in una grande idrovia in grado di connettere le principali città della pianura Padana. L'articolo si focalizza su un'opera incompiuta che è ancor oggi oggetto di discussione: l'idrovia Padova à Venezia. La proposta di sistemazione dell'antico collegamento fluviale fra le due città subisce un radicale mutamento alla fine degli anni '50, quando la via d'acqua viene ripensata come il primo tratto di un canale pedemontano da Venezia a Milano. Il progetto fu portato avanti per oltre due decenni fra difficoltà burocratiche e politiche, non ultima la progressiva marginalizzazione della classe politica democristiana di Padova, che era la principale sostenitrice dell'opera. Il fallimento dell'iniziativa pone oggi il problema di come utilizzare le aree a suo tempo espropriate, nel contesto più ampio dei problemi ambientali e infrastrutturali di cui soffre oggi il Veneto.Texte
Il caso di studio
Pochi chilometri a sud della Riviera del Brenta, spesso celebrata quale massimo esempio di paesaggio palladiano e, più in generale, dell'organizzazione territoriale dettata nei secoli del dominio della repubblica veneta, ci si imbatte, a tratti, nelle vestigia di un canale meno celebre ed esteticamente poco appagante. Oltre due decenni d'abbandono hanno prodotto un generale degrado dell'infrastruttura e delle sue pertinenze, che contrasta con la bellezza rinvenibile a pochi chilometri e contribuisce allo scempio del paesaggio veneto: le sponde arginali sono spesso utilizzate come discarica abusiva delle più svariate sostanze; i manufatti per la navigazione interna giacciono incustoditi e in balia delle scorrerie dei vandali, mentre gli specchi d'acqua sono contaminati da inquinanti che provengono da numerose rogge abusive.Alla storia di questo territorio e dell'incompiuta idrovia che lo attraversa, concepita alla fine degli anni '50 per rilanciare la navigazione fra le città di Padova e Venezia e come parte di una moderna rete di trasporti fluviali nella Pianura Padana, ho dedicato un lungo periodo di ricerca, cominciato con la tesi di laurea e proseguito poi nell'ambito delle ricerche per il dottorato.
L'area considerata è una porzione della bassa pianura che si estende a Est della città di Padova fino al margine della laguna. Nel corso dei secoli il paesaggio è stato costantemente rimodellato sia da cause naturali che dall'operare umano. Nel primo caso i mutamenti sono strettamente legati agli eventi alluvionali causati dal fiume Brenta, il corso d'acqua che, insieme al Piave, ha dato origine alla pianura veneto - friulana, il cui bacino idrografico è indipendente dal Po.
Le tracce di questi fenomeni risaltano soprattutto per la diffusa presenza dei dossi fluviali, segni di un continuo modellamento del paesaggio in seguito alle esondazioni ed ai cambiamenti di percorso dei fiumi. Questi, per la diminuita energia dovuta alle lievi pendenze, tendono a divagare e a far prevalere l'azione di deposito rispetto a quella erosiva. Quasi ogni luogo può essere raggiunto dalle esondazioni fluviali, determinando una continua sovrapposizione di tracce sedimentarie successive; ai lati dell'alveo si ha un accumulo di sedimenti più pesanti (sabbie e ghiaie), mentre limi ed argille vanno a depositarsi nelle depressioni, creando ampi argini naturali entro cui scorrono i rami principali. I dossi fluviali che si incontrano, più o meno rilevati rispetto alla pianura circostante, sono il risultato di questa azione sedimentaria1.
L'intervento umano si concretizza da un lato nelle diverse opere di deviazione dei corsi d'acqua e di costruzione di canali per la navigazione, la gran parte dei quali costruiti in epoca tardo medievale; dall'altro nell'opera di bonifica delle aree paludose, alcune delle quali, specie a ridosso della laguna, si trovano al di sotto del livello del mare2. Questi interventi sono stati all'origine di diversi conflitti, legati ad interessi divergenti nell'utilizzo del suolo e delle risorse idriche.

Dossi fluviali a sud-ovest di Padova.
Da Provincia di Venezia, Studio geoambientale e geopedologico del territorio provinciale, Venezia, 1994.
L'utopia: una rete di trasporti fluviali nella Pianura Padana
Al termine della Seconda Guerra Mondiale, posto rimedio alle più urgenti sistemazioni che la rete di trasporti - in special modo ferroviari - richiedeva per le offese subite dai bombardamenti, non si tardò molto a riaprire l'inconcludente discussione che da ormai mezzo secolo coinvolgeva politici locali, commissioni governative, camere di commercio, ingegneri ed industriali. La questione del rilancio dei trasporti fluviali si fece strada nel dibatto istituzionale al principio del XX secolo, quando il Ministero dei Lavori Pubblici istituì una commissione per lo studio delle vie navigabili nell'Alta Italia.Il declino dei vecchi canali, costruiti a partire dal tardo medioevo3 e sviluppati per tutta l'età moderna, era proseguito inesorabilmente in conseguenza dello sviluppo ferroviario. Si rilevava ovunque una profonda arretratezza, non solo nel naviglio impiegato nei trasporti, costituito quasi esclusivamente da vecchie imbarcazioni in legno prive di motore e con capacità di carico non superiori alle 100 à 150 tonnellate, ma anche nella struttura stessa delle vie navigabili, dotate di manufatti antiquati e soprattutto diverse per caratteristiche strutturali da luogo a luogo e quindi non in grado di offrire una rete di trasporto omogenea su lunghe distanze4.
Nonostante il poderoso lavoro di censimento e progettazione delle commissioni ministeriali e dei vari comitati locali sorti in quegli anni per promuovere la soluzione del problema, le opere tardavano ad essere realizzate, non solo per mancanza di investimenti e di interesse da parte dello Stato, ma anche per l'incapacità di individuare una soluzione di intesa fra le diverse regioni e città.
Nel ventennio fascista pochi furono i miglioramenti nelle condizioni dei trasporti fluviali: furono messi da parte fantasiosi progetti quali l'attraversamento degli Appennini per collegare via acqua Torino e Genova, proposto fin dagli inizi del secolo5, e l'idea, affacciatasi negli anni '20, di un canale pedemontano e artificiale che collegasse Venezia e Milano prescindendo dal Po6. Insomma non si fece altro che riconfermare quanto detto a partire dal 1905 dalla commissione di studio presieduta da Leone Romanin Jacur7 : il Po, opportunamente sistemato, sarebbe stata la spina dorsale di un sistema di canali dall'Adriatico al Piemonte. Il grande fiume avrebbe dovuto assolvere nella pianura padana al ruolo del Reno per l'Europa centro settentrionale, in cui, come si affermava ad un convegno della Camera di Commercio di Milano nel 1903, Venezia avrebbe assunto il ruolo di Amsterdam, Milano di Colonia, Pizzighettone di Mannheim e Torino di Basilea8.

Progetti idroviari nella Valle Padana. In blu le linee esistenti, in verde quelle in costruzione e in rosso in progetto.
Da Unione di Navigazione Interna Italiana, Carta delle vie navigabili, Venezia, 1963.
Il progetto di un canale pedemontano fu tuttavia riproposto alla vigilia dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, allorché Mario Beretta, che ne era stato l'ideatore vent'anni prima, prospettò una soluzione che in parte inglobava il vecchio progetto del canale bergamasco - bresciano, con prosecuzione ad est in direzione di Verona, Vicenza e Padova e ad ovest verso l'alto milanese, la Svizzera e Torino. La proposta avveniva contemporaneamente all'affermarsi di un deciso interesse svizzero in un collegamento fluviale con il mare Adriatico attraverso la Pianura Padana. Il Comitato veneziano per la navigazione interna, d'intesa con l'Unione di Navigazione Interna Italiana, osteggiò decisamente la nuova proposta, definendola tecnicamente e finanziariamente inattuabile9.
Dopo la pausa bellica, fra i primi eventi significativi riguardanti la ripresa del dibattito, si tenne a Padova, fra il 9 e il 12 Giugno del 1949, il I Congresso Nazionale di Navigazione Interna. I partecipanti si limitarono a censire lo status quo delle vie navigabili, con particolare riferimento ai danni subiti dai bombardamenti. Si affrontò inoltre il problema della motorizzazione dei natanti fluviali e del rinnovamento della flotta, distrutta al 50% da cause belliche. Con l'istituzione, promossa nel 1947 dall'Unione delle Camere di Commercio delle Venezie, del Consorzio per l'idrovia Locarno - Venezia, l'idea di costruire l'idrovia padana secondo il percorso Lago Maggiore - Milano - Cremona - Mantova - Rovigo - Venezia, che sfruttava principalmente l'asse fluviale del Po, sembrava destinata a divenire presto realtà10. Lo stesso Mario Beretta, presente al convegno padovano, non accennò a proposte alternative alla sistemazione del Po, trattando come argomento del suo intervento il problema del porto di Cremona, legato dunque alla navigazione del grande fiume11.
Poco dopo si dovette assistere nuovamente ad una divergenza di interessi che portò alla richiesta da parte degli enti locali di realizzare progetti ritenuti per diversi motivi prioritari, ma slegati da una visione organica che potesse individuare le reali esigenze dei trasporti e i collegamenti fondamentali. Dai molti convegni, tavole rotonde, mostre sulla navigazione emergevano idee confuse, sovente in contraddizione fra loro, per giustificare questo o quel progetto servendosi della retorica e della produzione cartografica, quasi mai accompagnate da valide considerazioni tecniche ed economiche12. La carta presentata in figura 2 è sintomatica di questa prassi: essa infatti mette in evidenza una complessa rete di idrovie che si giustificano soltanto per l'apparente semplicità e velocità di connessioni realizzabili. Non si coglie, ad esempio, che l'idrovia pedemontana avrebbe dovuto risalire dal livello del mare alla quota di quasi 200 metri, con oltre 10 conche di navigazione nel solo tratto Verona - Venezia. Nulla si comprende degli enormi problemi in merito all'approvvigionamento idrico che un tale sistema avrebbe determinato. Ciò che vediamo in questa carta non è dunque sufficiente a «spiegarne il funzionamento»13.
Le idrovie negli anni '50 - '60
Dibattiti e progetti
In questo contesto si inserisce pienamente il progetto per l'idrovia Padova - Venezia.Il canale pedemontano, che nella sua più recente versione riguardava anche il Veneto, non sembrava avere più di tanto interessato la classe politica ed industriale della regione. Venezia aveva invece ostacolato questa proposta, facendosi in più occasioni promotrice della sistemazione del Po e dei canali di collegamento fra il fiume e la laguna veneta, e rifiutando qualsiasi coinvolgimento nell'Associazione Nazionale Idrovie e Porti, presieduta dallo stesso Beretta e sostenitrice del progetto da lui ideato14.
Lo storico collegamento fluviale fra le città di Padova e Venezia si esercitava attraverso due canali artificiali, il primo dei quali, il Piovego, fu realizzato dai padovani nei primi anni del secolo XIII; il secondo, che prende il nome di Naviglio Brenta, è formato da antichi percorsi fluviali del Brenta stesso, che già verso la metà del XII secolo furono ripristinati dai padovani per abbreviare il percorso verso Venezia. I canali subirono numerosi interventi nel tempo, fra cui si annovera uno dei primi sostegni a conca che si costruirono15.
Le commissioni ministeriali di inizio unicode2utf8(0x2018)900 evidenziarono l'importanza del collegamento, all'epoca uno dei più vitali dell'intera rete di navigazione dell'Alta Italia, e presentarono diverse proposte per il miglioramento del canale stesso16.
Il progetto di sistemazione, elaborato negli anni unicode2utf8(0x2018)20 e portato più o meno a compimento entro il 193917, prevedeva sostanzialmente la ricostruzione dei manufatti idraulici e la sistemazione del canale rettificando alcuni meandri, allo scopo di migliorare la navigazione fra Padova, la nascente zona industriale di Marghera e i canali di collegamento al fiume Po. Si decise inoltre, per accorciare il percorso e portarlo a sfociare direttamente nel porto industriale, di costruire un breve tratto di canale fra il paese di Oriago e la darsena ovest di Porto Marghera18.
Non si era certamente pensato ad un canale di grande navigazione come quello fra Bergamo e Brescia, limitando la dimensione dei manufatti ad imbarcazioni da 250 tonnellate, di fatto la minima portata che i moderni trasporti contemplassero. All'epoca i trasporti fluviali erano già orientati verso idrovie da almeno 600 tonnellate ed il progetto appariva già superato prima ancora di giungere al completamento, secondo una tendenza che caratterizzava tutti i progetti idroviari di epoca fascista come privi di una visione di ampio respiro, nonché soggetti a numerosi errori tecnici19.
Ricostruiti i manufatti (in particolare le conche di navigazione di Dolo, Mira e Strà e la briglia di attraversamento del Brenta) ed ultimato il nuovo tratto di canale, le nuove opere non poterono tuttavia essere utilizzate per la persistenza di due cavedoni20 di terra su quali correvano binari ferroviari e tranviari a servizio della zona industriale di Marghera. Il nuovo tratto di canale inoltre fu da subito utilizzato come bacino idrico per il raffreddamento degli impianti industriali; si manifestò pertanto un'opposizione latente da parte dei dirigenti di Marghera all'abbattimento dei cavedoni e a nulla valsero le disposizioni parlamentari che ordinavano il completamento e la messa in opera dei manufatti già costruiti21.

L'idrovia Padova - Venezia secondo il progetto del 20 aprile 1964.
Da Consorzio per l'idrovia Padova - Venezia, Aspetti tecnici dell'idrovia Padova - Venezia, Venezia 1970).
Fu in conseguenza di ciò che nacque l'idea di costruire il canale in sede nuova, anche per l'impossibilità tecnica di adeguare il percorso esistente ad una classe di trasporti superiori, senza compromettere la preziosa eredità paesaggistica, legata alla presenza, lungo l'asse fluviale, di numerose ville venete. Peraltro l'intero percorso del Naviglio Brenta, comprese due fasce marginali della larghezza di 100 metri ciascuna, fu vincolato con Decreto del Ministero della Pubblica Istruzione del 16 ottobre 1958 ai sensi della Legge 29 giugno 1939, n° 1497.
La nuova opera comportava però alcune decisioni fondamentali: essa si sarebbe dovuta considerare come un miglioramento del canale esistente oppure un progetto del tutto nuovo? Nel secondo caso, in base al TU del 1913 sulla Navigazione Interna, sarebbe stata necessaria una legge per la classificazione del canale come via navigabile, soggetta ad un lungo e accidentato iter ministeriale e parlamentare, che avrebbe potuto portare alla bocciatura stessa del progetto. C'era infatti già il precedente del 1925, in cui la ventilata classificazione del citato Canale Pedemontano era stata respinta dal voto contrario del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici22.
Iniziò dunque una lunga operazione di persuasione e pressione nei diversi ambienti politici, in cui un ruolo centrale svolsero le Camere di Commercio di Padova e Venezia. Il primo progetto del canale parzialmente in sede nuova venne elaborato dall'Ufficio Tecnico del Genio Civile di Venezia, nella persona dell'ingegner Giuliano Gusso, nel dicembre del 1961. Esso prevedeva la costruzione di un nuovo alveo con incile 1500 metri a sud di Fusina, in prossimità del canale lagunare in costruzione Malamocco à Marghera; l'idrovia avrebbe dovuto proseguire con percorso rettilineo fino ad incrociare la statale Romea, in prossimità della quale avrebbe trovato posto una conca di navigazione per superare il dislivello fra la quota variabile della laguna e quella del fiume Novissimo. Dalla conca, con curva e controcurva ad amplissimo raggio, l'idrovia avrebbe attraversato il Novissimo e proseguito fino alla località San Pietro di Stra dove si sarebbe trovata un'altra conca per il superamento del dislivello fra il Novissimo ed il Brenta. Attraversato quest'ultimo corso d'acqua, l'idrovia doveva proseguire nel canale Piovego opportunamente sistemato per le imbarcazioni da 1350 tonnellate, con un percorso totale di circa 26 chilometri. La stima dei lavori prevedeva una spesa complessiva di 6 miliardi23.
Il progetto contemplava inoltre la possibilità di far proseguire l'idrovia, anziché per il canale Piovego, in un nuovo canale che, attraversato il Brenta, sarebbe giunto nella zona industriale di Padova, con la possibilità di raccordarsi alla fantomatica idrovia padana superiore; di tale opera non veniva indicato il costo.
Nel febbraio del 1963, dopo diversi passaggi nelle commissioni parlamentari di Camera e Senato, ma senza che la discussione venisse mai portata in aula, fu approvata la legge 92, con la quale lo Stato stanziava una somma di 6 miliardi e 600 milioni. Un ulteriore miliardo sarebbe stato erogato dagli enti locali in base a quanto stabilito dal T.U. del 1913.
Un'analisi delle affermazioni fatte in Commissione Parlamentare dai diversi esponenti politici manifesta quanto incerta fosse la percezione del problema idroviario e di come le opportunità locali prevalessero su un piano più generale. In tal senso si esprimeva anche il presidente della Camera di Commercio veneziana, che denunciava, in una lettera coeva alla discussione del progetto di legge, il tentativo di bresciani e mantovani per affossare i progetti di navigabilità del Po: «singoli interessi particolari ed esasperato campanilismo à affermava - giocano un ruolo certamente non favorevole per lo sviluppo della navigazione interna in Italia 24.»
Il relatore del Disegno di Legge, Pio Alessandrini (DC), non giustificò in alcun modo i criteri di valutazione della spesa complessiva e fin ora non è stato possibile rinvenire documenti che attestino come e in quale sede sia stato stabilito l'ammontare della spesa stessa25. Come sopra accennato, nel 1961 si era valutata una cifra approssimativa di 6 miliardi, mentre il progetto generale del 1964 stimerà un costo complessivo di 13 miliardi26, destinati negli anni successivi ad aumentare ulteriormente.
Nella discussione in Commissione si sollevarono perplessità non solo da parte di membri dell'opposizione - come Franco Busetto (PCI) e Fracantonio Biaggi (PLI) - ma anche per voce del democristiano Camillo Ripamonti, che ritenevano non solo insufficiente il finanziamento per un'opera di tale portata, ma anche scarse le informazioni fornite per poter meglio valutare la proposta. Ripamonti, che si era battuto in parlamento per il completamento del canale Milano - Cremona - Po27 e dunque deciso sostenitore della sistemazione del Po, sosteneva addirittura che la previsione di spesa fosse stata limitata proprio per rendere più facile l'approvazione del disegno di legge.
Altro tema di vitale importanza riguardava cosa si volesse in effetti collegare con la proposta di progetto: il canale si poteva giustificare anche come semplice collegamento fra le città di Padova e Venezia, oppure esso rappresentava soltanto il primo segmento di un'opera di interesse più vasto che avrebbe dovuto essere necessariamente proseguita in direzione di Vicenza e Verona? Attorno a questa problematica, di importanza vitale per il destino stesso del progetto, si riscontreranno continue ambiguità. In un documento manoscritto rinvenuto nell'Archivio del Consorzio per l'idrovia Padova - Venezia, non datato, ma certamente anteriore alla Legge 92/1963, si afferma che i risvolti economicamente positivi sono condizionati al futuro prolungamento del canale verso la Lombardia ed oltre, per poter contare su un notevole apporto commerciale: «Altrimenti - recita il documento - l'idrovia rischia di diventare conveniente solo ad alcuni gruppi economici ed anche per essi, solo perché viene costruita interamente a carico dello stato e degli enti locali28. »
Il sottosegretario ai Lavori Pubblici, Guido Ceccherini (PSDI), affermava in commissione che l'opera non doveva essere considerata «elemento di un sistema di navigazione interna», ma costituiva invece un'opera a se stante che, forse, nel tempo, avrebbe visto una prosecuzione in direzione di Verona29. Il dibattito sul canale pedemontano era infatti ripreso con la legge che classificava l'idrovia Ticino - Mincio fra le vie navigabili30. L'approvazione era avvenuta nello stesso consesso in cui si era votata anche la modifica della legge 1941 per il canale Milano - Cremona - Po. Ciò significava che lo Stato attuava di fatto una politica in materia di navigazione interna volta sia a rendere navigabile il Po, sia a costruire un'idrovia artificiale ad esso parallela. Quali fossero le intenzioni e quali le priorità in ordine alla realizzazione restava oscuro.
Proprio queste preoccupazioni spingevano Busetto a reclamare al governo la necessità di aprire un tavolo di discussione sulla questione dei trasporti idroviari, stabilendo un calendario in ordine alle priorità e svelando quali fossero le sue vere intenzioni. Affermava inoltre che il disegno di legge era frutto del prepotere di alcuni uomini all'interno del partito di maggioranza, accusando il gruppo doroteo veneto di aver fatto prevalere il proprio punto di vista anche su posizioni interne alla DC, ma rappresentative di altre regioni e correnti31.
Fra i personaggi che esercitarono pressioni a livello politico per l'attuazione di una linea navigabile pedemontana, riveste un ruolo fondamentale l'ingegnere bresciano Feliciano Bianchi. La sua proposta partiva da una critica feroce all'idea di intervenire sul Po per migliorarne la navigabilità. Egli infatti riteneva che il principale corso d'acqua italiano fosse di gran lunga il peggiore fiume europeo: nemmeno con poderosi interventi si sarebbe potuto renderlo adatto alla navigazione, se non con natanti modesti. Il problema riguardava lo scarto fra i periodi di morbida e di magra, i primi dei quali spesso assai rovinosi. Inoltre le torbide, provenienti soprattutto dagli affluenti appenninici, avrebbero causato continui interrimenti dell'alveo che, assieme alle frequenti nebbie, potevano ostacolare la navigazione; le magre, infine, erano tali da permettere a volte durante l'estate di attraversare il fiume a piedi, come era accaduto in più luoghi - e avviene tutt'oggi - nell'estate del 195532.
La soluzione, alla quale cercava di persuadere l'opinione dei tecnici, era quella di costruire un'idrovia per acque chiare che attraversasse i centri della produzione industriale e che fungesse da dorsale della Valle Padana. Oltre a considerazioni di carattere tecnico, infatti, era l'aspetto economico che cercava di puntellare la validità di un tesi, facilmente attaccabile per la vaghezza e le incongruenze progettuali.
Le considerazioni economiche, alquanto incerte, sono riassunte dalle parole dello stesso Bianchi:
«Solo un'idrovia su sede propria [...] darà indispensabile garanzia di funzionamento in tutti i giorni dell'anno soddisfacendo le insopprimibili esigenze del fattore tempo, non si dimentichi che in cinquant'anni abbiamo veduto sorgere a Porto Marghera il più grande centro industriale del mare Mediterraneo con sviluppo sempre crescente da meritare il più rapido collegamento con Milano, non si dimentichi che nell'operosa Valle Padana esiste una provincia molto industriale quale è quella di Brescia che giustamente non vuole venire esclusa da una idrovia destinata ad eccezionale importanza, che, oltre alla provincia di Brescia, dalle valli bergamasche a quelle del Brenta vi sono borgate, città e province intensamente industriali come quella di Vicenza dove il solo settore tessile per vastità e modernità di impianti, per la massa operaia che occupa e per rifornimento di materie prime costituisce elemento preponderante in continuo sviluppo [...]. Non si dimentichi che proprio questa zona comprende i maggiori laghi italiani che offriranno nuove vie di espansione industriale.»
Oltre a diffondere le proprie opinioni attraverso conferenze e articoli di giornale, Bianchi esercitava pressione a livello istituzionale, interagendo con i protagonisti della scena politica33.
Le sue affermazioni trovavano riscontro nei dibattiti parlamentari. Tra il 1959 e il 1963, infatti, il problema di quale fosse la soluzione da preferire divenne centrale nelle discussioni sul bilancio dei Lavori Pubblici in tema di navigazione interna. Tra i sostenitori della soluzione pedemontana - socialisti, liberali e parte dei democristiani - l'argomento forte era proprio quello della necessità di costruire l'idrovia padana laddove ci fossero già importanti stabilimenti industriali, di contro a chi sosteneva proprio un percorso più meridionale per favorire lo sviluppo di aree agricole e depresse ed il loro passaggio da un'economia primaria all'industria34.
L'approvazione del progetto: la politica e il territorio
La vicenda dell'idrovia Padova Venezia, come più in generale la politica di trasporti interni in Italia, è caratterizzata dalla prevalenza di interessi clientelari e opportunità politiche su considerazioni più generali di carattere economico e obbiettivi di pianificazione territoriale.Si evidenzia in primo luogo la mancanza di chiarezza sulla decisione di costruire un nuovo canale, soprattutto relativamente al ruolo che avrebbe dovuto svolgere l'asse navigabile. Del resto era giustificabile una tale spesa per un canale lungo appena 26 chilometri che avrebbe collegato il porto di Padova solamente ai porti di Venezia e Chioggia? L'idrovia, nonostante numerose affermazioni in senso contrario, non sarebbe stata infatti dimensionata per imbarcazioni marittime, in grado di collegare il porto di Padova con altri porti dell'Italia o del Mediterraneo. Anche l'auspicato collegamento con i porti padani lungo il Po appariva condizionato da numerosi fattori.
Sulla convenienza economica del progetto esistono quattro studi di valutazione. Il primo fu pubblicato nel 1963 dalla Camera di Commercio di Padova: nella premessa si affermava che lo studio costituiva uno strumento finalizzato ad illustrare l'importanza dell'idrovia e le proficue conseguenze che ne sarebbero derivate35. Alle ragioni che giustificavano la costruzione del canale venivano dedicati soltanto due paragrafi: si affermava la necessità di migliorare gli insufficienti collegamenti fra le città, anche per creare un legame tra le due economie (Marghera caratterizzata da grandi impianti per la produzione di base, Padova, invece, dalle piccole e medie imprese operanti in diversi settori economici). Si palesava inoltre l'esigenza di assecondare il progresso produttivo con la costruzione di infrastrutture che promuovessero un maggior insediamento di attività36. Il traffico, stimato in 1 milione di tonnellate annue, fu stabilito sulla base di richieste rivolte alle singole imprese di valutare i quantitativi medi di materie prime, semilavorati e prodotti finiti trasportabili per idrovia37.
Quale era la provenienza di questi dati? Nell'agosto del 1962 si era tenuta a Padova una riunione delle Camere di Commercio interessate al progetto del canale Venezia à Verona in cui si palesava la necessità di predisporre uno studio statistico - economico sulla validità del progetto. Giunto infatti a buon punto l'iter per il tratto Padova - Venezia, si cominciava a pensare al collegamento con l'idrovia Ticino - Mincio. In base agli accordi, Venezia avrebbe dovuto produrre un'analisi del traffico nel proprio porto e raccogliere elementi statistici sul traffico portuale dalla città ai territori dell'entroterra interessato dall'idrovia; la Camera di Padova avrebbe raccolto dati sui rapporti commerciali fra la regione e i paesi stranieri; a Verona e Vicenza toccava invece stabilire il traffico legato alla locale dogana. Tutte e quattro, inoltre, dovevano cercare di prospettare lo sviluppo economico e sociale delle singole province. Uno dei modi per stabilire l'utilità del canale stesso era il ricorso a questionari da sottoporre alle imprese38.
L'indagine da cui derivò la pubblicazione della Camera di Commercio padovana si riferiva dunque al progetto del canale Venezia - Verona; infatti nei questionari si fa esplicito riferimento a questo progetto laddove si richiede alle industrie se riterrebbero vantaggiosa la possibilità di avvalersi del canale per il trasporto delle materie prime e dei prodotti finiti39.
Sembra lecito affermare che la convenienza economica dell'opera, ammesso che ci fosse, si sarebbe realizzata soltanto allorquando il progetto fosse stato completato, collegando il porto di Padova all'idrovia Padana Superiore.
Prescindendo dall'ovvia difficoltà di comprendere quali personaggi politici abbiano giocato in ruolo chiave nella vicenda, si è cercato per lo meno di ricostruire come si ottenne l'approvazione del progetto da parte del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, dal momento che il finanziamento già stanziato nel 1963 era di soli 7,6 miliardi, mentre già si prevedeva un costo quasi doppio.
Il progetto generale fu trasmesso dal Magistrato alle Acque al Ministero dei Lavori Pubblici il 13 Giugno 1964. Esso prevedeva una spesa complessiva di 13 miliardi ed un primo stralcio di 7,6 miliardi in base al finanziamento già stanziato40.
Il 24 Luglio si tenne a Venezia una riunione, alla presenza di Manfredonia, capo della Direzione Generale Acque e Impianti Elettrici del Ministero dei Lavori Pubblici, cui parteciparono rappresentanti dei Comuni, delle Province e delle Camere di Commercio di Padova e Venezia. La convocazione era stata fatta da Arrigoni, ispettore generale del Genio Civile e membro della commissione giudicatrice del progetto, per esaminare preliminarmente problemi e difficoltà riguardanti l'iter del progetto stesso. Infatti pochi giorni dopo il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici avrebbe rimandato indietro il progetto perché privo della perizia di ristabilimento delle opere esistenti, come richiesto dal T.U. del 191341. Secondo quanto si legge nel verbale della riunione, uno dei problemi riguardava la sostanza stessa del progetto, di fatto opera nuova, mentre la legge già approvata parlava di sistemazione dell'idrovia Padova - Venezia. Stando ad una recente pronuncia del Consiglio di Stato, inoltre, non si potevano presentare progetti di importo superiore a quello già stanziato per legge e nemmeno stralci di progetto come invece era già stato fatto. Il presidente della III sezione del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici suggeriva dunque di presentare un progetto generale per l'importo già stanziato: per contenere i costi bisognava stralciare quasi per intero le spese per i rivestimenti del canale, omettere le spese generali per l'amministrazione e riportare una cifra per gli imprevisti di valore simbolico42.
Sulla base di queste indicazioni venne dunque corretto il progetto generale che fu inviato al Ministero nell'agosto dello stesso anno.
Raffronto dei costi preventivati nei diversi progetti43
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progetto 5/12/1961 |
progetto 20/04/1964 |
progetto 18/08/1964 |
costruzione del canale e manufatti minori |
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2.569.670.000 |
2.456.933.000 |
costruzione dei manufatti maggiori |
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3.749.030.000 |
3.649.980.000 |
costruzione opere di difesa delle sponde |
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3.300.000.000 |
- |
totale lavori in appalto |
5.019.485.400 |
9.618.700.000 |
6.106.913.000 |
somme a disposizione dell'amministrazione |
679.762.500 (*) |
737.889.000 (*) |
737.889.000 (*) |
|
|
420.000.000 (**) |
320.000.000 (**) |
totale |
|
10.776.589.000 |
7.164.802.000 |
imprevisti |
300.752.100 (5%) |
1.077.658.900 (10%) |
435.198.000 (6%) |
totale |
6.000.000.000 |
11.854.247.900 |
7.600.000.000 |
spese generali e tecniche |
|
1.145.752.100 (10%) |
- |
totale generale |
6.000.000.000 |
13.000.000.000 |
7.600.000.000 |
(*) per espropri
(**) per spostamento di pubblici servizi, danni ecc.
La tabella confronta le valutazioni dei costi presenti nelle tre stesure del progetto. Le stime del 1961, qui riportate solo a titolo indicativo, fanno riferimento ad un progetto di entità minore, che prevedeva un intervento di dimensioni contenute rispetto a quanto infine approvato. Fu probabilmente in base a queste indicazioni che venne elaborato il progetto di legge, con il quale lo Stato erogò il primo finanziamento. La terza versione evidenzia palesemente una deliberata sottostima dei costi, attuata al solo scopo di far proseguire l'iter per l'approvazione del progetto.
Nonostante le evidenti incongruenze, il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici giunse alla conclusione che gli elaborati inviati fossero meritevoli di approvazione, pur indicando che non era stata formulata alcuna previsione per i rivestimenti delle sponde del canale. Una nota del Magistrato alle Acque, che suggeriva si potesse ovviare all'esecuzione di alcune opere, con particolare riferimento ai rivestimenti: il Consiglio ritenne tuttavia che tale intervento non potesse essere dilazionato nel tempo, in quanto «i rivestimenti suddetti, oltre ad avere lo scopo di assicurare il mantenimento della sezione del canale, ed impedire la deformazione ed interrimenti, dovranno avere funzioni impermeabilizzanti che non assicurano una completa tenuta ed impedire sia emungimento di falda che travenazioni.»
Il Consiglio segnalava, oltre a qualche piccolo aggiustamento di carattere tecnico, che non erano state previste somme a disposizione per le spese generali e progettuali da corrispondere al concessionario. Tuttavia riteneva che il possibile ribasso del 5% delle opere in appalto, unitamente alle somme accantonate per imprevisti, avrebbe portato a disporre di circa 700 milioni sufficienti a far fronte all'esecuzione dei rivestimenti44. Quel consesso sembrava non ricordare affatto che pochi mesi prima gli stessi autori del progetto, fra spese generali, somme a disposizione dell'amministrazione e costi per i rivestimenti, proponevano una cifra che superava ampiamente i 4 miliardi.

L'alveo dell'idrovia abbandonata nei pressi di Vigonovo (Pd).
Di frequente si è sentita da parte dei padovani l'accusa rivolta a Venezia, oltre che al Partito Comunista, di aver determinato il fallimento del progetto arrivando ad ostacolarne la costruzione45.
Alla fine degli anni '50 erano stati proprio enti veneziani (Comune, Provincia e Camera di Commercio), d'intesa con quelli padovani, a reclamare da parte del governo l'approvazione del progetto ed il finanziamento della nuova opera.
Il porto fluviale di Padova avrebbe dovuto essere il proseguimento nell'entroterra di quello industriale a Marghera che si caratterizzava sempre più non come infrastruttura per il movimento delle merci, ma come banchina per l'approvvigionamento di materie prime a servizio delle industrie di base del polo chimico e petrolchimico. Questo portava un'ulteriore conseguenza: l'utilizzo delle acque, ridottosi l'impiego per le centrali idroelettriche, diveniva sempre più legato alle esigenze della produzione industriale: per favorire lo sviluppo del settore secondario la captazione delle risorse idriche avvenne al di fuori di qualsiasi legislazione, dando inizio a gravi fenomeni di inquinamento e dissesto idrogeologico46.
La grande alluvione del 1966 mise in luce le conseguenze dell'incuria nei confronti dei delicati equilibri dei regimi fluviali, nonché l'azzardo di molti progetti pensati come motori di progresso, ma gravidi di conseguenze sulla sicurezza del territorio. Numerose province dell'Italia subirono le conseguenze della catastrofe: gravi danni, conseguenti agli allagamenti, si verificarono nella bassa pianura padovana e veneziana, mentre lo stesso capoluogo lagunare fu seriamente minacciato dalle maree, che raggiunsero livelli mai registrati prima.
In primo luogo si palesò il pericolo legato al nuovo ampliamento del polo di Marghera, la cosidetta terza zona industriale, che con l'ulteriore prosciugamento degli spazi anfibi a margine della laguna, ridusse ulteriormente la capacità di attenuare gli effetti dell'acqua alta. Un'altra causa del fenomeno fu individuata nella costruzione del canale lagunare di grande navigazione Malamocco - Marghera, responsabile di aver determinato l'aumento dell'ingressione di acque marine all'interno della laguna47. Un modello di sviluppo, che si supponeva portatore di progresso e benessere e in grado di modellare il territorio ad assoluto vantaggio dei gruppi umani, si rivelò invece dannoso e gravido di conseguenze negative sulla popolazione. L'ambiente naturale, profondamente modificato dall'uomo, finiva per ribellarsi alle costrizioni imposte dall'uomo stesso, per cause che solo una percezione distorta poteva definire calamità naturali.
Nel progetto in esame il dimensionamento dei manufatti previsto nel 1964, con particolare riferimento all'attraversamento del fiume Brenta da parte dell'idrovia, considerava come livelli critici le piene dell'anno 1895, che avevano fatto registrare a Bassano del Grappa la portata massima di 1.500 m3/sec. Tuttavia nel Novembre '66 la portata del fiume raggiunse i 2.800 m3/sec48. Se, per assurdo, all'epoca dell'alluvione la progettata idrovia fosse già stata costruita e messa in comunicazione con il fiume Brenta, la piena avrebbe potuto scavalcare le chiuse e riversarsi nel canale, giungendo probabilmente a minacciare la stessa città di Padova. Il progetto fu di conseguenza modificato per l'ennesima volta, con un considerevole aumento dei costi.
Il rifinanziamento dell'opera, essendo i fondi stanziati ormai del tutto inefficienti, non solo per l'aumento dei costi in termini assoluti, ma anche per la crescita dei prezzi relativi e dei risarcimenti d'esproprio, avvenne dieci anni più tardi, con la Legge 28 aprile 1976, n° 237.
Il Disegno di Legge prevedeva un finanziamento complessivo di 30 miliardi per vie navigabili e opere idrauliche di difesa del suolo e di irrigazione. Accanto all'idrovia Padova - Venezia si finanziava il completamento della Milano - Cremona - Po e la sistemazione del percorso Fissero - Tartaro - Canal Bianco - Po di Levante - Chioggia. Le seconde due linee riguardavano dunque la costruzione di una linea navigabile legata al Po, mentre la Padova - Venezia, come più volte ricordato, si doveva considerare come l'ultima parte del canale pedemontano. Si registrava pertanto l'incapacità dello Stato, dopo settant'anni di dibattiti, di approntare un piano organico per le politiche idroviarie.
Nella dichiarazione di voto in seno alla commissione parlamentare, Girolamo Federici (PCI) cercò di ripercorrere l'iter parlamentare del nuovo disegno di legge. Egli affermò che si trattava di una delle tanti «leggine» che riprendevano vecchi progetti idroviari o ne inventavano di nuovi:
«progetti avveniristici, illusori, sempre al di fuori di qualsiasi piano organico riferentesi allo stato dell'economia, alle questioni della pianificazione territoriale, ai problemi del coordinamento dei trasporti»
Continuava poi ricordando che con le recenti alluvioni era esploso il problema del dissesto idrogeologico del paese, che necessitava di scelte prioritarie, mentre il tema delle idrovie andava affrontato con particolare cautela, considerando la situazione economica, i problemi del territorio e dei trasporti, anche in relazione alle questioni relative al rifornimento di petrolio49.
L'approvazione del Disegno di Legge precedeva di un paio di mesi, come era accaduto nel '63, la caduta del governo e lo scioglimento delle camere.
L'idrovia incompiuta
Il futuro dell'idrovia Padova - Venezia è ancor oggi una questione aperta. Da quando, a metà anni '80, il Consorzio fu soppresso per volontà della Regione50, l'opera è stata lasciata a se stessa con le negative conseguenze già ricordate nelle premesse. L'ipotesi più probabile concerne attualmente la costruzione di una strada per il traffico pesante a margine del canale: dall'acqua alla gomma dunque, deturpando ulteriormente un territorio già violato ma potenzialmente recuperabile proprio in virtù della presenza idrica. Il problema del riutilizzo delle aree interessate dal progetto si scontra anche con la situazione più generale del territorio veneto contemporaneo, caratterizzato da un'urbanizzazione diffusa, spesso caotica e con crescenti problemi strutturali, soprattutto nell'ambito dei trasporti. Territorio che soffre, proprio in relazione all'alta concentrazione di attività umane, della grave impermeabilizzazione dei suoli che, unita al dissesto idrogeologico, minaccia seriamente le attività industriali e i centri abitati.
Attualmente l'idrovia risulta compiuta al 70%. Sono stati scavati complessivamente 15 km di canale, costruiti tutti i ponti di attraversamento stradale e il ponte ferroviario. Sono state inoltre costruite la conca di navigazione e una delle chiuse per l'attraversamento a raso del fiume Brenta, complete di tutte le apparecchiature necessarie al funzionamento, anche se oggi gravemente danneggiate da due decenni di abbandono e da ripetuti atti vandalici51.
Il tratto del canale già costruito, fra Padova e il fiume Brenta, svolge oggi la funzione di collettore delle acque piovane della zona industriale di Padova, caratterizzata da un'alta cementificazione e quindi soggetta a problemi per lo smaltimento delle acque meteoriche. Le acque raccolte sono convogliate nel canale e scaricate infine nel Brenta.
Gli specchi d'acqua che si succedono nella campagna sono diventati inoltre, proprio per la presenza dell'elemento idrico e l'assenza invece di attività agricole o industriali, rifugio per numerose specie acquatiche e di uccelli, mentre gli argini abbandonati costituiscono un corridoio verde abbastanza inconsueto nel caotico territorio veneto. Il tutto favorisce quindi l'utilizzo dell'area per attività turistico ricreative quali la pesca, percorsi a piedi o in bicicletta lungo gli argini e la possibilità, finora raramente praticata, di sport acquatici.
Sta inoltre mutando radicalmente lo scenario delle attività produttive nella regione che vede, oltre all'inarrestabile declino delle industrie di base a Porto Marghera, un deciso cambiamento della zona industriale di Padova dove la parte produttiva, sempre più spesso delocalizzata, è sostituite da attività commerciali, quali import - export e vendita all'ingrosso, pur in contrasto con lo statuto del Consorzio Zona Industriale e Porto Fluviale (Z.I.P.) che prevede l'assenza di imprese di questo tipo nelle aree sottoposte alla sua giurisdizione.
Questo pone delle serie ipoteche sul ruolo che potrebbe svolgere un infrastruttura per il trasporto pesante in una regione e in un paese che si caratterizza sempre più per il declino della produzione industriale.
Abbreviazioni
ACS: Archivio Centrale dello StatoARV: Archivio della Regione Veneto
AsCCIAVi: Archivio storico della Camera di Commercio, Industria e Agricoltura di Vicenza
AsMA: Archivio storico del Magistrato alle Acque
ASR: Archivio di Stato di Rovigo
ASV: Archivio di Stato di Venezia
b.: busta
CCIAVe: Camera di Commercio, Industria e Agricoltura di Venezia
c.s.: carte sciolte
f.: fascicolo
s.: scaffale
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Auteur
Matteo Proto
Docteur en histoire de l'Europe : identités collectives, citoyenneté et territoire (Époque moderne et contemporaine), université de Bologne (Italie)
Email : matteo.proto2@unibo.it